Classe 1991, sguardo magnetico e fascino ribelle. Proprio come Benny, il personaggio che interpreta in The Bikeriders, e anche un po’ come James Dean, l’icona degli anni ’50 a cui è stato più volte accostato. Austin Butler è sbarcato a Roma, insieme al regista Jeff Nichols, per presentare il film in uscita nelle sale il prossimo 19 giugno grazie a Universal Pictures.
“Il paragone significa molto per me, perché James Dean era uno dei miei miti da ragazzo”, dichiara con un velo di imbarazzo Butler in merito all’ingombrante paragone. “Quando ho visto i suoi film per la prima volta, mi sono sentito di fronte a qualcosa di enorme. Una volta le figure maschili nel cinema erano soltanto tre: da una parte c’era Marlon Brando che urlava ‘vaffanculo’, dall’altra c’era Montgomery Clift che implorava ‘per favore, aiutami’; nel mezzo c’era James Dean. Tuttavia, non so come reagire ai confronti, anche perché non credo di essermi mai ispirato a lui consapevolmente: è più un qualcosa che vedono gli altri. Quello che posso dire è che di lui mi ha sempre attratto il suo fare animalesco, ma anche la sua spontaneità e la sua vulnerabilità”.
Lasciarsi guidare dalla paura
Una carriera iniziata sui set delle serie tv targate Nickeldon e Disney Channel, i primi ruoli di un certo peso grazie a registi del calibro di Jim Jarmusch (I morti non muoiono) e Quentin Tarantino (C’era una volta a… Hollywood), fino all’exploit con Elvis, sotto l’egida di Baz Luhrmann, e alla più recente – ed inquietante – performance nei panni del crudele e perverso Feyd-Rautha Harkonnen in Dune – Parte Due di Denis Villeneuve.
Ma cosa spinge Austin Butler ad accettare un progetto? A quanto pare, tutto si riduce a chi avrà il compito di guidarlo sul set. “I registi per me sono la cosa più importante”, ammette senza doverci pensare troppo. “A volte mi capita di cogliere delle connessioni tra i film che ho fatto a cui non avevo mai pensato prima, ma sono davvero i registi coinvolti che mi hanno sempre spinto ad accettare di prendere parte a quel determinato film. E Jeff Nichols era sicuramente uno dei miei sogni”.
“In generale, credo di essere attratto dai ruoli che mi danno la possibilità di conoscere di più me stesso e di mettere alla prova le mie capacità di attore; quelli in cui sento di poter dare qualcosa, che magari richiedono una certa preparazione anche fisica. A volte è anche capitato che mi lasciassi guidare dalla paura: se qualcosa mi spaventa, allora la faccio”.
Un punto di vista femminile
The Bikeriders – in cui Butler recita al fianco dei bravissimi Tom Hardy (Johnny) e Jodie Comer (Kathy) – è ispirato all’omonimo libro fotografico di Danny Lyon pubblicato nel 1967 e racconta la storia di un club di motociclisti del Midwest, i Vandals, che nell’arco di dieci anni si trasformò da luogo di ritrovo per gli outsider locali a gang losca e pericolosa che influenzò e minacciò lo stile di vita unico del gruppo originario.
La storia del film, quindi, è ambientata in un contesto culturale non è solo profondamente americano, ma anche profondamente maschile. Tuttavia, i fatti vengono narrati da un punto di vista femminile, quello del personaggio di Kathy. “La risposta più ovvia è che il personaggio di Kathy è quello più introspettivo e perspicace, e che le sue testimonianze sono le migliori all’interno del fotolibro di Danny. Ma c’è anche un’altra ragione”, ha spiegato il regista Jeff Nichols, noto per aver diretto – tra gli altri – Take Shelter e Loving.
“Questi uomini appartenevano alla classe operaia, e probabilmente non erano né bravi ad esprimersi né a riconoscere le emozioni che stavano provando. Quindi, se la storia fosse stata raccontata dai personaggi maschili, tutto sarebbe diventato pesante, falso, perché all’epoca quegli uomini sapevano soltanto mettersi in posa o nascondersi. Per arrivare al cuore delle cose, per arrivare a raccontare la verità delle cose, c’era bisogno di filtrare il tutto attraverso la lente di una donna”.
Le ispirazioni dietro The Bikeriders
Nichols si lascia poi andare ad una riflessione sui film del passato che hanno ispirato il suo lavoro, ammettendo di non essersi lasciato molto guidare dalle pellicole di motociclisti in senso stretto e tirando in ballo Martin Scorsese come riferimento principale per il tipo di storia che aveva in mente di raccontare. “I film di motociclisti erano un sottogenere secondario negli anni ’60 e ’70”, spiega il regista. “La maggior parte di loro erano film di serie b, spesso fatti veramente male”.
“A voler essere onesti, il mio modello è sempre stato un altro, e forse la dice lunga sul tipo di film che avevo in mente di realizzare: sto parlando di Quei bravi ragazzi”, ammette poi Nichols. “In quel film Scorsese stava rappresentando una sottocultura. Conosceva quel mondo, lo conosceva nei dettagli. E quello che ha fatto è stato portare al grande pubblico quella sottocultura in modo quasi romantico, optando poi per un cambio di rotta nella narrazione: all’inizio, da spettatore, vuoi essere come il protagonista, vuoi essere un gangster; dopo, più di addentri nella storia, più cambi idea”.
“Ecco, dal punto di vista narrativo, questa è la stessa struttura che ho applicato al mio film. La prima parte è romantica: c’è la musica, il divertimento; ma poi nella seconda i personaggi iniziano a pagare le conseguenze delle loro scelte e, soprattutto, dell’essere parte di questo mondo. Scorsese ha vissuto in quei quartieri, ha visto i ragazzi che ha poi raccontato. Io invece no: ho scoperto i dettagli attraverso il libro di Danny, che mi ha poi dato tutti quegli ingredienti necessari che non avevo dalla mia esperienza di vita”.
“Per quanto riguarda i film di motociclisti in senso stretto, vengono menzionati nel film, a partire da Il selvaggio, perché è una cosa che viene direttamente dal libro”, aggiunge poi il regista. “Il selvaggio è un grande distillato di cosa significhi essere un ribelle. Oggi ci sono persone là fuori che vogliono ribellarsi a qualcosa, anche se forse non hanno davvero bisogno di farlo. È più una sensazione che hanno all’interno. Molto probabilmente, da qualche parte, c’è un ragazzo di 16 anni in questo momento, anche a Roma, che la pensa esattamente così. Ecco perché Il selvaggio è importante”.
“Per quanto riguarda Easy Rider, quel film è una pura espressione degli anni ’60 riguardo la cultura della droga e tutto il resto. E se guardi al periodo che intercorre tra questi due film, sono trascorsi 15 anni… 15 anni che hanno connesso Il selvaggio, i film degli studios e Easy Rider. Cosa è successo in quei 15 anni? È questo che racconta The Bikeriders”.
Tra ribellione e ricerca della libertà
Tra i temi cardine del film ci sono ovviamente i concetti di ribellione e di ricerca della libertà. Cosa ci dice, dunque, la storia di The Bikeriders e dei suoi personaggi a proposito di tutto questo? “Forse la libertà è un costrutto. Forse non è reale. O forse è solo un momento”, dichiara Jeff Nichols. “La libertà forse non è costante, ed è questo che la rende nostalgica e al tempo stesso attraente. Johnny non può aspirare alla libertà che ha Benny, perché Johnny ha una moglie e dei figli, ha le macchine. Ecco perché brama la libertà di questo giovane uomo. Se pensi all’interno arco narrativo del film, vedi i momenti che queste persone vivono e che non esisteranno più. E questa è nostalgia più che libertà. La libertà deve essere quindi un momento che loro stessi hanno vissuto all’interno di quell’esperienza”.
E come ha fatto Nichols a trovare il perfetto equilibrio tra ribellione e ricerca della libertà nella definizione dei caratteri dei suoi personaggi? “Pensiamo ad un moto… Una moto è bellissima e rappresenta in pieno la libertà: ci vuoi salire sopra, vuoi guidarla, sentire il vento tra i capelli, ma può ucciderti in qualsiasi momento”, aggiunge il regista. “C’è una forte tensione in tutto questo. La stessa tensione insita nella mascolinità, ma anche in Kathy. Nessuno di questi personaggi è equilibrato, per quanto si sforzino di esserlo”.
Il cast di The Bikeriders annovera anche Tom Hardy, Norman Reedus, Michael Shannon, Boyd Holbrook, Toby Wallace, Karl Glusman e Mike Faist. Nichols figura anche come produttore insieme ad Arnon Milchan, Kierke Panisnick e Donald Sparks. Fred Berger, Sam Hanson, David Kern, Yariv Milchan e Michael Schaefer figurano invece come produttori esecutivi.
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