Il Grinch è pronto a tornare nelle sale per sabotare il Natale di grandi e piccini; questa volta non si tratta però di un live action – come quello diretto da Ron Howard e con protagonista l’istrionico Jim Carrey – bensì di un film d’animazione che riporta in vita il mondo creato dal Dr. Seuss.
A prestare la voce alla buffa creatura verde protagonista è, nella versione originale, l’attore inglese Benedict Cumberbatch (insieme ad altri talent coinvolti come Pharrell Williams e Rashida Jones); nella versione italiana l’onere – e l’onore – è toccato all’attore Alessandro Gassmann, che durante la conferenza stampa di presentazione del film ci ha raccontato cos’ha significato, per lui, calarsi nei panni di un personaggio che adora da sempre sperimentando la sua prima, grande, esperienza da doppiatore.
Alessandro, che sfida ha rappresentato per te calarti nei panni de Il Grinch?
«Per me è stato un grande onore, e infatti ringrazio la Universal per questa opportunità: sono da sempre un appassionato delle avventure del Grinch e ho imparato molte cose da questa esperienza. Il film ha una sceneggiatura perfetta capace di intrattiene grandi e piccoli; la sua costruzione è la stessa, a 360 gradi, di quella applicata ai personaggi veri e propri dei grandi film; quindi la sfida è proprio costruire il protagonista. Immaginate: avevo in cuffia un esempio come Cumberbatch, quindi è stato necessario compiere un gran lavoro di adattamento, e di questo lavoro rimane alla fine una grande lezione: non avevo mai lavorato prima con modalità simili e ricoprendo un ruolo simile, da protagonista, quindi ho imparato davvero tanto».
Anche tu sei un attore a 360 gradi: com’è stato quindi recitare con la voce?
«Doppiare è comunque sempre un mestiere fisico; io di solito faccio solo dei rifacimenti della mia voce ma non ho mai doppiato un protagonista. Cerco sempre di aiutarmi più che posso con il corpo provando ad assecondare il personaggio anche a livello fisico, perché ritengo che per doppiare bene sia necessario essere soprattutto degli attori, trattandosi di interpretare un personaggio. Ad esempio penso all’espressività che ha il Grinch, è perfetta, si vede che non si tratta quindi di fare solo delle vocine buffe. Poi, per quanto riguarda la scelta dei doppiatori, devo che sia io e Cumberbatch abbiamo delle voci simili, molto basse, anche se la sua è più “metallica” e pulita».
Alessandro, secondo te il Grinch è una favola?
«Per me sì, anche perché come ho già detto ho un debole per il Grinch, mi piace troppo e in particolare questo film è sì natalizio, ma è comunque la storia di un diverso: se ci pensate, lui è l’unico verde e alla fine si parla di una comunità che accetta un diverso; basta una parola dolce detta da una bambina buona e perfino il cuore di un “cattivaccio” e si scioglie, così anche loro finiscono per includerlo. La grandezza degli americani è proprio quella di costruire mondi fantastici, apparentemente assurdi, ma che sembrano veri e realistici».
Se il Grinch è una favola quindi, credi che l’autore abbia disseminato un messaggio specifico?
«Personalmente credo di sì; a me è arrivato ad esempio quello legato al tema dell’inclusione, ma ce ne sono tanti altri che si possono trovare, nascosti qua e là. Il Grinch, come del resto tutti i cattivi, deve questa sua chiusura a qualcosa di nascosto che affonda le radici nel suo passato, e quindi si cerca di scoprirne le cause man mano che procede la narrazione».
Alessandro Gassman presenta Il Grinch alla stampa
Hai visto il film originale su Il Grinch diretto da Ron Howard e quali differenze hai trovato lavorando sul progetto rispetto alla versione di Jim Carrey?
«Sono indubbiamente film diversi tra loro, ma credo che questo – nella sua interezza e completezza – sia più riuscito, forse anche perché è un film d’animazione e quindi una versione più adatta per i nostri giorni. All’epoca del film le tecnologie non erano così sviluppate, mentre oggi è arrivato finalmente il momento giusto per realizzare un adattamento del libro del Dr. Seuss. Questo è il nuovo Grinch ed è la ripartenza giusta».
Con quali cartoni sei cresciuto da bambino?
«Sono cresciuto con quelli di casa Disney e devo dire che il mio preferito rimane Pomi d’Ottone e Manici di Scopa: sognavo che il mio letto potesse volare nella notte!»
Alessandro, parli del film d’animazione de Il Grinch come se si trattasse della tua prima esperienza al leggio, ma in realtà ti sei già cimentato in una performance simile con il recente film d’animazione – tutto italiano – Gatta Cenerentola: ce ne puoi parlare?
«Sì, è vero, ma questa – con Il Grinch – è la prima volta che doppio un personaggio centrale nel racconto, mentre con Gatta Cenerentola ho avuto la possibilità di scoprire la qualità altissima dell’animazione napoletana a livello europeo. Il Grinch è un film gigantesco sul quale si è lavorato ininterrottamente per tre anni, mentre Gatta Cenerentola, con i mezzi che ha avuto, è riuscito comunque ad avere un grande successo: spero in cuor mio che il crescente – appunto – successo dei film d’animazione possa incrementare soprattutto la realtà europea».
Da regista, cosa ne pensi dei film d’animazione che stanno diventando progressivamente prodotti per tutti, sia per i più piccoli che per gli adulti?
«Il cinema d’animazione americano ha questa capacità di coinvolgere grandi e piccoli emozionandoli nello stesso modo; se penso, ad esempio, a mio padre Vittorio e alla sua grande interpretazione ne Il Re Leone targato Disney, nei panni di Mufasa… gli americani hanno molti difetti, è vero, ma anche enormi pregi come l’infantilità: loro rimangono sempre bambini e credono in cose per noi assurde. Ma la contrario di noi, loro ci credono davvero fino in fondo; basta pensare a progetti cinematografici che hanno realizzato, che so, come Cowboys and Aliens o Sharknado: prendono con serietà gli argomenti più assurdi, in questo sono davvero straordinari, liberi e dotati di grandissimi mezzi».
Il cinema italiano riserva più personaggi cialtroni che cattivi in effetti: nel caso della tua filmografia, ad esempio, solo in Razza Bastarda interpreti un vero cattivo. Pensi che manchino un po’ questi ruoli al nostro cinema, considerando che comunque per un attore interpretare un cattivo rappresenta una vera sfida?
«In Razza Bastarda però non interpreto un cattivo vero e proprio, per me è piuttosto un ignorante: i cialtroni sono i più pericolosi, ecco perché il cinema italiano ne è pieno: pensiamo per un attimo al personaggio interpretato da mio padre ne Il Sorpasso. Se il film avesse avuto un finale diverso, che non contemplava la morte del personaggio interpretato da Trintignant… forse anche l’Italia, oggi, sarebbe un paese decisamente diverso».
Alessandro, quali personaggi “atipici” ti affascinano nel cinema come nella letteratura?
«Sono sempre stato affascinato, ad esempio, dall’insolita creatura di Frankenstein: i mostri mi piacciono molto, da vero appassionato horror, e poi pensate che ho amato e pianto tanto su un film come King Kong!»
Qual è stata, secondo, l’evoluzione della tua carriera da doppiatore, mettendo soprattutto a confronto le esperienze de La Strada per El Dorado e Il Grinch? E poi c’è un personaggio che ti sarebbe piaciuto doppiare?
«Ne La Strada per El Dorado eravamo in due a doppiare i personaggi – insieme a Gian Marco Tognazzi – e i personaggi che interpretavamo erano meno complessi, due “fessacchiotti”; per quanto riguarda il Grinch invece è stato tutto più impegnativo e completo. Per quanto riguarda, invece, la storia del cinema d’animazione più recente invece, mi sono piaciuti molti ruoli ma il mio sogno è da sempre quello di doppiare Il Grinch: è così scorretto, ma quando può ricapitarmi l’occasione di sfogarmi un po’ attraverso un personaggio?»
Prima Jim Carrey, ora Benedict Cumberbatch: un grande comico e un grande interprete della tradizione shakespeariana. Come ti sei rapportato con questi due modelli e quali fiabe amavi da bambino?
«Ah, loro sono entrambi due attori così diversi e così straordinari… uno diverso dall’altro, unici. Io ovviamente sono un teatrante e quella del teatro per me rimane mia prima casa; Cumberbatch è più giovane di me ma ha fatto molte più cose del sottoscritto, dividendosi tra cinema, teatro e tv; provo grande invidia, devo ammetterlo, ma lui proviene da un background diverso forte di un’industria autonoma e funzionante. Carrey mi manca molto, la sua presenza, perché sono un suo estimatore da sempre e mi ha sorpreso, ogni volta, con le sue interpretazioni: ammetto che mi piacerebbe doppiarlo in futuro. Per quanto riguarda le fiabe, Cappuccetto Rosso era una di quelle che mi faceva paura da piccolo, mentre a livello di produzione italiana ricordo splendidamente il Pinocchio di Comencini realizzato per la Rai: un grande esempio di tv».
Una curiosità: quale doppiatore o quale performance ammiri in particolare nel mondo del doppiaggio italiano?
«Confesso che amo alla folla il doppiaggio realizzato da Gigi Proietti con il Genio della lampada: un vero esempio di pirotecnia vocale che lo ha reso, per me, uno dei più grandi doppiatori italiani sulla piazza. Per cui, viva Gigi!»