Un tavolo da pranzo in un ristorante di lusso con vista su Manhattan. Un dialogo folle e strepitoso tra Leonardo DiCaprio e Matthew McConaughey. Un pugno batte sul petto accompagnato da una canzoncina, ed è subito cult! L’ultimo capolavoro di Martin Scorsese, The Wolf of Wall Street, risale al 2013, ma nella sua mente c’era già Silence. In realtà il film lo aveva in testa da quasi trent’anni.
Nel 1988 ricevette in regalo il romanzo di Shusaku Endo, “Silenzio”, che il regista terminò di leggere l’anno successivo sul treno da Tokyo a Kyoto, dopo avere ultimato di girare la parte di Van Gogh in Sogni, di Akira Kurosawa. La storia era così inquietante da toccare corde molto profonde per il regista, che non sapeva nemmeno se avrebbe mai potuto fare un tentativo per affrontare la trasposizione sul grande schermo. Ma, col passare del tempo, in lui qualcosa ha cominciato a dire: “Devi provarci”.
Nel 1990/91 ha acquisito i diritti. Circa un anno dopo, insieme all’amico e collega sceneggiatore Jay Coks (L’Età dell’Innocenza, Gangs of New York) hanno cercato di buttare giù una bozza. Ma in effetti non erano ancora pronti per provarci. Tuttavia si trattava dell’inizio di un lungo processo che avrebbe portato alla prima vera bozza di sceneggiatura, nel dicembre 2006, ed è stato allora che hanno delineato la concreta struttura di un film. In tutti quegli anni non erano mai riusciti nemmeno a immaginare come farlo. Non sapevano come affrontarne i temi, era difficilissimo mettere insieme un progetto concreto.
Nel corso degli anni sono sorte molte problematiche legali e finanziarie, e l’intera questione era diventata un problema che ha chiamato in causa una marea di persone e di tempo. Inoltre, c’era il dilemma degli attori. Avevano trovato interpreti che piacevano a Scorsese e che erano “di cassetta”, che avevano dato l’assenso a fare il film; ma poi passava il tempo e non erano più “di cassetta”, o erano troppo vecchi, o tutte e due le cose. Attori che garantivano un certo quantitativo di denaro necessario per fare il film, e attori che volevano interpretare i ruoli.
Dopo The Departed, la pre-produzione di Silence finalmente iniziò nel 2009 con vari sopralluoghi a Nagasaki. A quel tempo gli attori legati al progetto erano Daniel-Day Lewis, Benicio del Toro e Gael García Bernal. La previsione dei costi si rivelò quasi insostenibile, il film entrò in una fase di stallo e il regista diede la precedenza a titoli come Shutter Island e Hugo Cabret. Oltre al Giappone, lo scenografo Dante Ferretti ha cercato location in Nuova Zelanda, a Vancouver, in California del Nord e poi, finalmente, ha individuato la sede di Taiwan, che ha paesaggi straordinari e coste praticamente intatte, con un aspetto simile a quello dei luoghi del romanzo. Si sono subito resi conto che si trattava del posto giusto per girare il film a un ottimo prezzo.
Silence entrò in un’altra fase produttiva con altri attori, Liam Neeson, Andrew Garfield e Adam Driver, per poi diventare il nuovo lungometraggio diretto da Martin Scorsese. Un processo lunghissimo, con molte fermate e molte ripartenze; ma alla fine è arrivato il risultato sperato. La storia narra di due preti gesuiti portoghesi, Padre Rodrigues e Padre Garupe, che intorno al 1600 partono alla volta del Giappone per indagare sul presunto abbandono formale della religione da parte del loro mentore Padre Ferreira. Il prete era partito per il Sol Levante con la missione di convertire gli abitanti al cristianesimo. Arrivati a destinazione, saranno testimoni delle persecuzioni ai danni dei Cristiani durante il periodo Tokugawa, a seguito della rivolta di Shimabara.
Questo non è stato solo un film per Scorsese, ma ha fatto parte della sua vita per moltissimi anni ed ha impregnato tutto il lavoro che ha fatto in questo periodo. In una recente intervista a proposito di Silence ha detto: “Le scelte che ho fatto hanno portato ad accostare certe idee e certe scene in altri progetti nel corso di questi anni, c’era il desiderio di fare proprio questo film e dall’altra parte c’era sempre la presenza del romanzo di Endo. Quella storia è stata come una specie di sprone a riflettere sulla fede, sulla vita e su come viverla, sulla grazia e su come la si riceve, su come alla fine esse possono essere la stessa cosa. Io penso che, a sua volta, questo abbia dato più forza e chiarezza al mio modo concreto di affrontare il lavoro del film.”