venerdì, Luglio 18, 2025
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Barriere: l’ultima fatica di Denzel Washington arriva nelle sale

La famiglia è un microcosmo. Abitudini, regole, limiti che sono esclusiva di quel nucleo ma anche riflesso di qualcosa di più ampio. La società e le sue imposizioni ad esempio. Barriere, ultima fatica di Denzel Washington, evoca l’ambivalenza del termine: le barriere diventano qualcosa che protegge ma isola, unisce il microcosmo ma lo divide dal mondo esterno. Barriere fisiche ma anche mentali, che devono arginare qualcosa che non può essere liberato.

A circa dieci anni da The Great Debaters, Washington torna come regista e attore protagonista nell’adattamento di Fences (1983), opera teatrale di August Wilson. Il drammaturgo è noto per essere il padre dell’American Century Cycle, dieci opere che, dai primi del ‘900, una per decennio, raccontano un secolo di storia afroamericana: la fine della schiavitù , la migrazione dalle campagne del sud verso le città del Nord, le lotte per i diritti civili fino all’urbanizzazione che ha portato alla creazione dei ghetti.

Ed è qui che si colloca Barriere, opera che, peraltro, è una delle più autobiografiche mai scritte da Wilson: il padre adottivo, come il protagonista, era un ex giocatore di football costretto da un infortunio a rinunciare al sogno della sua vita, ripiegando su un modesto impiego da addetto alle fogne.

Wilson aveva sempre desiderato che a dirigere un film sull’opera fosse un regista afroamericano. Dopo sei anni dall’ultima messa in scena  a Broadway con Viola Davis, co-protagonista anche sullo schermo, in Denzel si fa avanti la voglia di portare Barriere al cinema. La prima del 1985 a Broadway si era rivelata un gran successo: 525 repliche, un Premio Pulitzer per Wilson, un Tony Award e un New York Drama Critic Circle Awards.

Anche nella versione della coppia Washington-Davis l’opera viene insignita di altri tre Tony Awards: miglior revival, miglior attrice protagonista, miglior attore protagonista. La scelta dei medesimi attori per la versione cinematografica si è rivelata azzeccata (o forse scontata?), dal momento che anche traslato sullo schermo Barriere ha già ottenuto quattro candidature agli Oscar: miglior attore protagonista, miglior attrice non protagonista, miglior sceneggiatura e miglior film.

Barriere recensione del film con Denzel Washington e Viola Davis

La storia ruota intorno a Troy Maxon, ex giocatore di football alla Negro League. Troy, negli anni cinquanta, periodo di pieno razzismo nei confronti degli afroamericani, cerca di sostenere la sua famiglia lavorando come netturbino. Padre severo e chiuso, sente il peso della responsabilità sulle proprie spalle, dimenticando di coltivare anche la sfera affettiva nei confronti della prole. Il figlio Cory infatti cresce “circuito” da doveri e responsabilità. Ma verrà il giorno in cui Troy dovrà fare i conti con questa mancanza di empatia.

Un film che ha il difetto di non riuscire a distaccarsi completamente dal contesto teatrale ma che allo stesso tempo fa della sua derivazione la propria forza. Ambientato unicamente nella casa dei Maxon, spazio intimo e ristretto, si fa teatro dei problemi che affliggono la popolazione afroamericana nel dopoguerra. Solo sette personaggi e una macchina da presa che ci porta talmente vicini alle vite dei protagonisti da renderci complicato emetttere giudizi, capire dove stanno torto e ragione. Pittsburg , luogo in vui si svolge la storia, viene suggerito solo attraverso i dialoghi.

La pellicola è certamente arricchita dal feeling di Denzel Washington con Viola Davis, unica attrice di colore ad aver vinto un Emmy per la serie tv Le Regole del Delitto Perfetto. La Davis era già innamorata di Fences ai tempi della messa in scena teatrale: “Confronta le parti oscure di te stesso, e lavora per bandirle con l’illuminazione e il perdono. La tua volontà di lottare con i tuoi demoni farà cantare gli angeli. Usa il dolore come un carburante, come ricordo della tua forza. È una frase di Wilson che adoro e che ho imparato a dire tra i denti quando ho dei dubbi sulla razza umana. August era uno scrittore e un uomo straordinario, capace di dare voce alla gente comune, di cui non parlava mai nessuno: uomini e donne invisibili, come mio padre che puliva le stalle e aveva iniziato a lavorare dopo la quinta elementare. Questo lavoro onora le persone come lui.”

Denzel Washinghton, come attore, non è certo nuovo ai biopic: dall’attivista Steve Biko in Grido di libertà a Malcom X nell’omonimo film, passando per il poeta Melvin B. Tolson in The Great Debaters al colosso della droga Frank Lucas di American Gangster: “Mi ricordo quando da ragazzo vidi la prima volta a teatro Barriere e mi sono sentito per ragioni di età molto vicino al personaggio del figlio Cory. Anni dopo, per volontà del destino, mi sono poi ritrovato a impersonare io Troy a teatro: sono nato artisticamente sul palcoscenico del Lincoln Center Theatre ed è stato un po’ come ritornare alle origini. Mai avrei pensato nel 2010 che quell’esperienza si sarebbe trasformata sei anni dopo in un film. La ricordo come una delle più drammatiche delle mie performance: Troy era un padre del tutto diverso dal mio, un uomo molto gentile e spiritualei.”

Il figlio Cory ha il volto dell’attore angloamericano Jovan Adepo, meglio conosciuto per il suo ruolo nella serie televisiva The Leftovers. Direzione della fotografia di Charlotte Bruus Christensen, scenografie di David Gropman, costumi di Sharen Davis e musiche di Marcelo Zarvos.

Redazione
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