Wes Anderson è un regista di culto, che ha creato un proprio stile riconoscibile film dopo film, inanellando una serie di instant cult come I Tenenbaum o Grand Budapest Hotel, solo per citarne alcuni. Classe ’69, il regista statunitense – durante una masterclass tenuta nella cornice di Venezia 80, dove ha presentato la sua ultima fatica, il mediometraggio La meravigliosa storia di Henry Sugar – ha dichiarato di essere cresciuto suggestionato da registi come Steven Spielberg e Alfred Hitchcock oppure dall’immortale saga di Star Wars.
Generare “realtà parallele”
Influenze diverse e non omogenee che sono confluite in uno stile che Bob Balaban ha così riassunto: «Ogni film di Wes è un mondo, e sono tutti completamente diversi l’uno dall’altro». Ma come nasce la scintilla creativa che accende sia la fantasia di Anderson che la sua capacità di generare queste “realtà parallele”?
«Credo che, alla fine, tutto parta da due aspetti che non si amalgamano nemmeno tra loro, in particolare il tipo di film: il risultato quindi è uno strano misto. Mi spiego meglio: ad esempio Il treno per il Darjeeling nasce con l’intento, da parte mia, di girare un film su un treno, mentre Roman Coppola e Jason Schwartzman continuavano a parlare di un’opera incentrata su tre fratelli. Così abbiamo unito questi due aspetti; poi mi è venuta in mente l’idea del fiume nel genere noir e ho pensato che mi sarebbe piaciuto girare qualcosa in India, così il film è, infine, un risultato del mix di tutte queste idee tra loro. Che poi non si tratta proprio di idee ma di spunti dai quali partire per poi improvvisare, come accade in quasi tutte le mie opere», ha commentato il diretto interessato.
Spesso però Anderson, per quanto abbia un tratto caratteristico nel creare mondi e quindi sia facilmente riconoscibile proprio grazie al suo stile e al suo tocco, a partire dal suo esordio, nel 1996, con Un colpo da dilettanti, non è mai stato solo dietro il timone di scrittura: c’è, infatti, con lui quasi sempre un co-autore con il quale crea in una libera associazione di idee sulla scia di un brainstorming.
Nel caso specifico, spesso il suo sodale è lo stesso Roma Coppola, che però non ha contribuito alla sceneggiatura dell’ultimo mediometraggio, La meravigliosa storia di Henry Sugar. «Questa volta, Roman non ha contribuito alla sceneggiatura», afferma l’autore. «Semplicemente perché è in sciopero, come del resto lo sono tutti gli sceneggiatori (e gli attori, NdR). Comunque, quando scriviamo insieme è come… è come ritrovarci in una foresta nella quale siamo già stati ma che non ricordiamo assolutamente, e quindi cerchiamo di ricostruirla attraverso i dettagli. Così il film si rivela progressivamente come qualcosa che già esiste ma che bisogna dissotterrare; credo sia una metafora calzante che restituisce molto bene le sensazioni che proviamo quando siamo al lavoro insieme. Ogni collaborazione, su un set, è diversa l’una dall’altra».

Ogni film di Wes Anderson, come del resto accade nell’ultimo Asteroid City presentato durante lo scorso Festival di Cannes, sembrano sospesi tra il controllo totale e una libertà anarchica: esiste davvero questa duplice natura dietro ogni sua opera? «Assolutamente sì», conferma il regista. «Quando realizzi un film pensi che ti muoverai attraverso una storia della quale devi avere il totale controllo, ma allo stesso tempo sai bene che stai invitando il caos ad entrare nella tua vita. È un tipo di comportamento incontrollabile: ad esempio, sempre quando abbiamo girato Il treno per il Darjeeling, pensavamo “adesso passiamo un po’ di tempo tutti insieme, in India” e avevamo questo piano, di preparare tutto per bene, molto nei dettagli e con attenzione, cercando di adottare delle regole molto rigide nella tabella di marcia. Ma certe volte, invece, non accadeva assolutamente niente ed esclamavamo: “Va bene, prendiamo le cose come vengono e viviamoci la vita per come viene e per quello che ci offre”. E certe volte, la vita ci ha condotto in posti proprio strani e assurdi».
Nei film di Anderson si nota sempre una grande attenzione ai dettagli e la passione per un certo approccio “artigianale” alla creazione di mondi. Un aspetto confermato dal diretto interessato: «amo lavorare su ogni aspetto necessario per realizzare un film. È un equilibrio sottile tra un piacere quasi “lussurioso” e, al contempo, la possibilità di creare delle opportunità lavorative. Ogni film è frutto di un artificio, poi dipende dalla capacità di riuscire a creare qualcosa che sembri plausibile, che possa accadere in qualunque momento. Quando si gira un film tutto è artificiale, lo si vede sul set, ma alle volte a me piace impiegare dei particolari estremamente artificiali – come degli aspetti molto teatrali – per rendere il tutto, almeno secondo me, più autentico. È il modo che utilizziamo per creare un’illusione e non allontanare assolutamente nessuno dalla storia raccontata, soprattutto il pubblico, perché per me un film è un atto emotivo e quest’ultime – le emozioni – spesso si manifestano in modi strani e imprevedibili».
Un mondo specifico e riconoscibile
Il mondo di Wes Anderson, così specifico e riconoscibile, è popolato da personaggi ricorrenti, eroi definiti letteralmente “andersoniani” che sono “più grandi delle scatole che li contengono”. Tutto questo nasce dall’istinto dello stesso regista di inseguire le storie, il loro corso, decidendo quindi quale svolte narrative sceglieranno e quali no, riconnettendosi magari con altri characters specifici già scritti in passato e comparsi sullo schermo. «È qualcosa di incontrollabile; non è deliberato l’atto di scrivere. È esattamente come scrivere a mano», conferma Anderson. «È un processo personale. E poi sento di identificarmi con loro, ogni volta».
C’è un aspetto di cui il regista texano è sicuro: La meravigliosa storia di Henry Sugar non rimarrà un unicum, anzi, diventerà la prima di una serie di adattamenti tratti dai racconti brevi dello scrittore Roald Dahl intitolate, rispettivamente, “Poison”, “The Ratcatcher” e “The Swan”, tutte indipendenti tra loro.
«Mi piacciono molto i cortometraggi, ne ho realizzati diversi in passato e alcuni, di altri autori, sono stati importanti per la mia formazione. Ma onestamente non so cosa verrà dopo, cosa girerò prossimamente: abbiamo scritto una sceneggiatura terminata poco prima dello sciopero, incentrata su tre personaggi, molto semplice, lineare… quasi tradizionale, che è strano da dire in effetti. Io sono un grandissimo lettore, continuo a comprare libri che poi finisco per non leggere e mi piace vedere, all’interno dei film, della gente che legge o che è alle prese con dei libri».
In occasione di Venezia 80, Wes Anderson ha ricevuto il premio Cartier Glory to the Filmmaker, riconoscimento dedicato ad una personalità che abbia segnato in modo particolarmente originale il cinema contemporaneo. La consegna del premio è avvenuta venerdì 1 settembre in Sala Grande (Palazzo del Cinema), prima della proiezione di La meravigliosa storia di Henry Sugar.