Paul Schrader è un altro grande leone – dopo la fulgida presenza della leonessa Catherine Deneuve, anche lei premiata a Venezia 79 – pronto ad assistere al riconoscimento di una lunga e prolifica carriera nella cornice della Mostra d’Arte Cinematografica : un Leone d’oro alla carriera meritatissimo per questo regista, sceneggiatore e critico cinematografico che, nel corso della sua vita, ha preso parte a progetti come American Gigolò, Il bacio della pantera, Taxy Driver, Toro Scatenato, L’Ultima tentazione di Cristo, Al di là della vita e il recente Il collezionista di carte.
«Sono stato molte cose nella mia carriera e anche un imprenditore: altrimenti, come avrei potuto realizzare questi strani, piccoli, film? Solo per questo motivo – e per tutti gli altri aspetti – mi merito un Leone d’oro» ammette sogghignando, tra consapevolezza ed ironia, dopo aver presentato davanti alla stampa la sua ultima fatica intitolata Master Gardener, con protagonisti Joel Edgerton e Sigourney Weaver.
«Per me è la terza volta a Venezia», confessa candidamente. «Molti anni fa ho incontrato questo personaggio della letteratura europea, protagonista ad esempio di un’opera di Sartre… un uomo senza qualità, che ha fatto irruzione nei miei film come ad esempio Taxi Driver. All’epoca si trattava di un personaggio nuovo, e da lì in poi ha continuato a comparire nei miei film; oggi l’ho rivisito in qualche nuova opera, di tanto in tanto. Quando la tecnologia è diventata più disponibile e i budget inferiori allora ho ottenuto maggiore libertà, e proprio per tale motivo l’ho rivisitato già tre volte di seguito e negli ultimi anni, fino ad arrivare allo scorso anno con l’uscita de Il collezionista di carte. La grande differenza che intercorre tra il “mio” personaggio ricorrente e gli altri è che lui invecchia con me adesso: è lui la persona più anziana in una stanza – e in un film – e tutti gli altri si approcciano alla sua persona… Spero che abbia ormai compiuto la sua evoluzione definitiva, permettendomi di concludere la sua storia con lui.
Ho avuto la fortuna di far parte di una generazione che ha scritto anche film molto violenti ma che appartengono, ormai, ad un tempo passato. Al giorno d’oggi l’idea di sé e di come possiamo partecipare alla nostra stessa redenzione si è evoluta: coltiviamo ancora l’ideale di una redenzione cristiana che avviene attraverso il sangue e quindi, di conseguenza, la sofferenza come Cristo. Considero i miei film e le mie sceneggiature come figli: ci sono molti motivi per cui possiamo disconoscere i nostri figli, i nostri frutti; ecco, io forse sono stato una persona fortunata perché ho commesso i miei errori come tutti, ma i film che ho realizzato, per fortuna, sembrano avere una vita più utile e lunga: sembra strano, ma questa è una cosa difficile da affrontare. Come possiamo fare affinché una persona torni a vedere i nostri film dopo, che so, vent’anni?»
Un’occasione, quella di lavorare con un grandissimo maestro del cinema come Schrader, che ha convinto fin da subito gli attori a far parte del progetto Master Gardener, che vede protagonista tanto la Weaver quanto Joel Edgerton (visto di recente del dramma di Ron Howard Tredici vite), che ha così riassunto – davanti alla stampa – la sua prima esperienza con il regista:
«La mia generazione ha frequentato le scuole di recitazione perché guardava ad attori come De Niro, protagonista dei film degli anni ’70 e di performance indelebili e interessanti soprattutto grazie alla sceneggiatura che le sorreggeva. La sceneggiatura di Master Gardener è interessante perché crea una sorta di familiarità e di tranquillità che si associa soprattutto al caos che si lega con le questioni irrisolte nel passato del mio personaggio e a quei rapporti che in esso sono sepolti. Ho sempre sognato di affrontare, in un film, un tema come la redenzione e lavorare con Paul è stata una vera sfida, soprattutto dal punto di vista attoriale: ogni attore ha dei trucchi e pensiamo che alcuni film richiedano una certa caratterizzazione, ma la vera difficoltà è estendersi al di là di quello che noi siamo, pensando anche al prezzo che dobbiamo pagare. La nostra speranza, sempre da attori, è appunto quella di lavorare con un regista che ci ispiri fiducia rendendo tutto il lavoro più semplice: Paul mi ha chiesto di portare con me una certa quiete, consentendo così al caos e al rumore di agitarsi in questo protagonista, spingendomi ben oltre la mia abituale comfort zone».
E se Venezia 79 ha già dimostrato la propria accoglienza per Paul Schrader e il suo film, c’è una curiosità che continua a serpeggiare: dopo essersi imbarcato in una sorta di moderna trilogia incentrata sul suo archetipo, l’anti-eroe metropolitano e senza qualità, tormentato dalla redenzione e dai propri fantasmi, qual è il significato più profondo dietro l’ultima fatica del regista? È sia Schrader stesso che il cast a fornire una valida risposta:
Paul Schrader: «In Master Gardener il giardino è la metafora più antica che esiste nell’arte: nel film, tutto ha origine nel giardino, soprattutto quando ho iniziato a pensare – fin da subito – ad un personaggio che si stesse nascondendo al suo interno, un uomo dall’aria minacciosa che non sarebbe di sicuro rassicurante in un bar. Mi piace l’idea di collocare un personaggio così, scevro da qualunque cliché, in un giardino e vedere se lì poteva essere perdonato, volgendo tutto il mio interesse verso la storia. In fondo è quello che noi facciamo: attraverso l’arte, formuliamo situazioni ipotetiche sulle quali possiamo rimuginare».
Joel Edgerton: «Trovo che nel film ci sia una splendida metafora, nella quale ritrovo le mie azioni e i miei sentimenti verso Master Gardener. Io, ad esempio, da spettatore e da attore, proietto le mie emozioni nei confronti della violenza potenziale, pensando invece che le cose possano crescere, essere floride, sbocciare meravigliosamente prima di dover essere distrutte per poter iniziare a ricostruire».
Sigourney Weaver: «Ogni volta che leggevo la sceneggiatura, che ho ricevuto pochi giorni prima di incontrare dal vivo Paul ed è diversa da qualunque copione io abbia letto finora, c’era una frase che rileggevo spesso: “il giardinaggio significa credere nel futuro” e questa frase, per me, è stata un’illuminazione. Tra i fiori c’è intimità e controllo ma è appunto necessario distruggere per poter far ricrescere la vita, che sembra controllabile pur non essendolo. Se il giardinaggio significa credere nel futuro, beh… ho pensato che alla fine si sarebbe trattato di amore. E soprattutto l’ho desunto dopo aver letto la sceneggiatura di Paul che ha una struttura verticale, semplice in superficie ma con una grande profondità, ed è inoltre capace di delineare degli splendidi personaggi femminili».
Master Gardener arriverà prossimamente nelle sale italiane.