A ben undici anni di distanza dall’uscita del suo ultimo film, Terraferma (2011), che pure era stato presentato nell’ambito della Mostra, il regista e sceneggiatore Emanuele Crialese torna finalmente dietro la macchina da presa con L’immensità, probabilmente la sua opera più intima e personale, presentata in anteprima mondiale a Venezia 79, prima dell’uscita nelle sale che avverrà a strettissimo giro.
Il film è ambientato nella Roma degli anni ’70, e segue la storia di Clara (interpretata dal Premio Oscar Penelope Cruz) e Felice (Vincenzo Amato), una coppia sposata che non si ama più ma che non riesce a dirsi addio. A tenerli ancora unito sono i tre figli, tra cui spicca Adriana, la più grande, testimone attentissima delle tensioni crescenti tra i genitori. La ragazza rifiuta la sua identità e vuole convincere tutti di essere un maschio: questa sua ostinazione porterà il fragile equilibrio della famiglia ad un punto di rottura.
“L’immensità è un lavoro sulla memoria e sull’autobiografia”, rivela in apertura di conferenza stampa il regista Emanuele Crialese. “Il film è ispirato alla mia infanzia e alla mia storia, anche se ho cercato una chiave che potesse non essere autoreferenziale: non volevo solo parlare di me, ma volevo raccontare attraverso una chiave che fosse un attimo più universale quelli che sono dei temi che a me stanno molto a cuore, come d’altronde ho sempre cercato di fare in ogni mio film. Questo film, come i miei precedenti, anche se in una chiave decisamente più autobiografica questa volta, parla di ‘transizione’ nel senso di movimento che facciamo da uno stato all’altro e che ci riguarda tutti.”
A proposito del personaggio di Clara, alla ricerca di un forte desiderio di libertà che riversa in maniera particolare sui suoi figli, soprattutto su Adriana, Penelope Cruz ha dichiarato: “Non credo che il mio personaggio sia quello di una donna pazza. In lei c’è sufficiente follia per riuscire a sopravvivere nella vita in cui si ritrova, una follia che le consente di stabilire anche una relazione con la figlia. Sotto molti aspetti, è una donna oppressa, che sente ogni giorno di dover fingere di fronte alla propria famiglia. Penso sia una condizione nella quale possano rivedersi molte donne, ancora oggi. Donne che fingono di fronte ai propri figli, facendo credere che tutto vada bene, quando in realtà non è così. Il film ne parla in un modo che mi ha davvero spezzato il cuore quando ho letto la sceneggiatura per la prima volta.”
Fra i numerosi temi affrontati da L’immensità, c’è sicuramente anche quello relativo al privilegio di essere un uomo, dal momento che, ancora oggi, viviamo in una società in cui la figura del maschio è ancora estremamente predominante. Ma cosa significa per Emanuele Crialese raccontare storie da un punto di vista maschile? “Nel mondo ci sono uomini e donne. Credo che la cosa migliore del fatto di essere un uomo sia poter avere anche una parte femminile. Non vedo chissà quale differenza nell’appartenere ad un genere piuttosto che ad un altro. Io sono chi sono, una persona che cerca di mantenere la sua polarità. Biologicamente sono nato ‘essere umano’, ma questo non significa che in me non ci sia anche una parte femminile. Anzi, credo che sia proprio quella la parte migliore di tanti uomini.”
La parola torna a Penelope Cruz, alla quale viene chiesto di riflettere sulla sua carriera e sul fatto che, moltissime volte, si sia ritrovata ad interpretare madri inserite in contesti famigliari parecchio turbolenti: “Ho interpretato il ruolo della madre già quando ero molto giovane. Con Pedro Almodóvar, ad esempio, ho fatto sette film e in ben cinque di essi interpreto una madre. Non credo sia una coincidenza. Ho un senso materno molto spiccato e le dinamiche famigliari sono un qualcosa che mi hanno sempre affascinato. Dal punto di vista cinematografico, la famiglia è un tema che fornisce tantissimo materiale ad una storia: si tratta di un mondo potenzialmente infinito da scoprire. La mia passione per questo tema, unito a questo mio forte istinto materno, mi hanno sempre convinto ad accettare questo tipo di ruolo. Ogni volta, per me, è un grande onore.”
L’immensità è stato scritto a sei mani da Crialese insieme a Vittorio Moroni e Francesca Manieri. Com’è stato per i due co-sceneggiatori dover maneggiare la storia di Emanuele ed entrare in contatto con la sua memoria? A rispondere a questa domanda è stata la Manieri: “Sono veramente grata di aver incontrato Emanuele. È sempre stato il mio regista dell’anima. Quando l’ho incontrato ero molto emozionata all’idea di poter lavorare con lui. Ho percepito subito il carattere universale della storia, perché era una storia molto simile alla mia. Emanuele è un autore ed essere un autore significa avere uno sguardo assoluto sulla realtà. Lavorare con lui, per me, significava perimetrare il senso, il contenuto di questo racconto. L’aspetto più importante di questo film, che per me è un film di profonda contemporaneità, riguarda l’affermazione dell’identità e le frontiere della libertà.”
Alla fine, la parola torna ad Emanuele Crialese, che si lascia andare ad una profonda riflessione sulla creatività come strumento che riesce a salvarci dai nostri abissi interiori: “La cosa più importante, per me, è riuscire a trasformare il dolore attraverso il racconto di una storia. Non si sceglie di intraprendere un percorso di transizione per affermare la propria identità: è un qualcosa con la quale si nasce. Io non ho ricordi di me che mi percepivo diversamente d da quello che poi sono stato. Si arriva al mondo e ad un certo punto la scelta è quella di continuare a credere in sé e a credere nel proprio percorso. Il cinema è stata la prima vera forma di libertà che io abbia mai sperimentato.”
L’immensità arriverà il 15 settembre 2022 nelle sale italiane.