Se Bill Murray non esistesse, non solo forse bisognerebbe inventarlo; ma addirittura potrebbe semplicemente appartenere al mondo della finzione, parto surreale della mente bislacca di un regista dotato d’immaginazione iperattiva. Con quell’espressione costantemente trasognata ha contribuito – in modo del tutto involontario – a creare una maschera inconfondibile, che ha accompagnato molti spettatori durante gli anni ’80 e ’90, protagonista assoluto di cult generazionali come Ghostbusters, Ricomincio da Capo, SOS Fantasmi, Tootsie, Osmosis Jones, Moonrise Kingdom, I Tenenbaum, Ed Wood, Lost in Translation, Broken Flowers, Coffee and Cigarettes fino al più recente The Dead Don’t Die.
Quelli citati sono solo una manciata casuale di titoli pescati da una ricca filmografia costellata di ruoli di primo quanto di secondo piano, versatile e accattivante tanto come protagonista che come spalla comica di lusso. Esploso nella fucina creativa del Saturday Night Live degli anni ’70 – la stessa dove emersero, tra gli altri, i talenti di Jim Belushi e Dan Aykroyd – Murray è riuscito, nel corso degli anni, a lavorare a fianco di grandi nomi del cinema (più o meno) indie americano come Ivan Reitman, Sofia Coppola, Harold Remis, Jim Jarmusch e Wes Anderson; anche qui, sono solo alcuni dei sodali con cui ha collaborato e continua a collaborare.
E proprio per celebrare una carriera così ricca e variegata la Festa del Cinema di Roma ha scelto di omaggiare l’attore americano con un Premio alla Carriera, un importante riconoscimento per aver lasciato un solco indelebile nell’immaginario pop più stralunato e surreale degli spettatori, accorsi in massa per partecipare ad ogni costo all’Incontro Ravvicinato organizzato dalla Festa – e dal direttore artistico Antonio Monda – moderata dall’amico di sempre Wes Anderson – e alla quale hanno, sorprendentemente, preso parte anche gli attori Frances McDormand ed Edward Norton, accorsi subito per celebrare con l’amico l’importante traguardo.
Bill Murray ha regalato a RomaFF14 il suo “one man show” fatto di eccentricità e tenere stranezze, riconfermandosi come uno degli anti-divi più preziosi di Hollywood; forse è anche per questo motivo, per la sua unicità, che i contributi video della serata sono stati all’altezza delle presenze in sala: Jarmusch, Anjelica Huston e Tilda Swinton, tutti riuniti virtualmente per una grande festa da innaffiare con fiumi di alcol per brindare, azione che evidentemente seduce Murray e soci visto che l’attore ha dichiarato di scegliere i ruoli che gli offre Wes in base agli… aperitivi.
È stato proprio il regista americano ad aprire la serata leggendo una lunga lettera dedicata all’amico/attore feticcio: dopo un ritardo di 40 minuti, una conferenza stampa sfumata a causa “di un pigiama”, l’ultima tappa delle stranezze di Murray e soci riguarda l’assenza della traduzione, con l’attore che ha letteralmente “spento” l’interprete Olga Fernando per poter permettere, agli spettatori, di godere appieno del dialogo ininterrotto tra i due amici. Peccato solo che la folla presente in sala non abbia gradito: passati i primi minuti, infatti, la traduzione viene ripristinata e l’ordine ristabilito.
Almeno, fino al primo videomessaggio del regista Jim Jarmusch che dedica all’attore questo pensiero: “Meriterebbe un premio anche solo perché è Bill Murray, lui può fare qualsiasi cosa. Bill Motherfucker Murray!”. Dopo il regista è la volta di Frances McDormand, che si accomoda sulle ginocchia dell’attore ringraziandolo per “esserci sempre stato”, prima di accomodarsi di nuovo in platea; è da qui che inizia la conversazione botta e risposta con Anderson, che ruota tra aneddoti, ricordi, elogi di Murray e delle sue insane abitudini, fino a raccogliere una serie di dichiarazioni.
Il regista con cui ha lavorato meglio oltre ad Anderson? Roger Michell, lo stesso dietro i successi di Notting Hill e A Royal Weekend nel quale Murray è il protagonista: in quel periodo il regista era da poco diventato papà e quindi le riprese finivano molto presto, permettendo all’attore di godere della meraviglia di un tramonto.
Mentre di Anderson, Murray dice: “Ti ricorda che sei vivo e questo è un dono”. I due continuano evocando le loro collaborazioni, la presenza collaborativa dell’attore sul set, sempre pronto a “sporcarsi le mani” con gli oggetti di scena, le perle interpretative che regala sul set e che rendono ogni momento unico. La loro felice collaborazione è iniziata sul set di Rushmore dove Wes Anderson non aveva certo una produzione come quelle odierne; e tutto quello che chiese Bill Murray per il ruolo di Herman Blume fu soltanto… il minimo sindacale. Da lì nacque un felice rapporto d’amicizia che il regista riassume con queste parole: “Gli devo molto per questo. Le persone lavorano molto meglio se si divertono”, prima di lasciare spazio ai consigli dell’attore su come lucidare le scarpe e sbadigliare con stile.
Prima di concludere l’incontro con la consegna del premio, Bill Murray ricorda gli inizi della sua carriera e i primi flop che si sono trasformati poco dopo in cult assoluti:
«All’inizio c’erano mio fratello Brian, Jim Belushi e altri a lanciarmi. L’inizio fu Meatballs con Ivan Reitman alla regia, prima ancora di Ghostbusters. La sceneggiatura non era il massimo, tant’è che la ritoccavamo ogni giorno. Ma Ivan mi rassicurò dicendomi che, se il film fosse stato tanto brutto, l’avrebbero visto solo in Turchia. Ancora oggi non so perché proprio lì e non lo saprò mai, visto che, fortunatamente, il film andò abbastanza bene. Per quanto riguarda la seconda parte della mia carriera devo ringraziare Wes Anderson, Sofia Coppola e Jim Jarmush. Sono stato davvero fortunato.»
Ma come tutti i momenti più belli, anche questa insolita serata con Bill Murray volge al termine: l’attore ritira il suo premio dalle mani di Anderson e regala agli spettatori un malinconico, quanto tenero, discorso di congedo incentrato sulla città di Roma:
«È una città bellissima, ma la sua parte più bella riguarda altri, coloro che l’hanno creata e sono venuti prima di voi. I romani devono avere cura di questa città oggi, devono amarla. Oggi mi sento così anche io».