Tomas Milian è stato un villain, un rivoluzionario, un borghese, un ispettore. Ha trasformato il suo corpo d’attore nel caleidoscopico prisma riflettente di una realtà sfaccettata e multiforme, impossibile da comprendere fino in fondo per via della sua insondabile complessità. È stato un “cattivo con accento” al servizio degli immaginari dei registi più disparati, senza però mai perdere la propria anima. L’anima di un malinconico Amleto cubano, incastrato nelle struggenti contraddizioni del proprio animo e delle proprie origini, lontane ed esotiche.
Adesso, Tomas Milian se n’è andato definitivamente, scivolando nella stanza accanto della Storia del Cinema e della Cultura Pop, diventando icona laica al pari di tanti altri grandi che, attraverso le loro trasformazioni ed inquietudini, sono riusciti a diventare dei veri e propri transfert freudiani dei cambiamenti di un paese.
Era stato adottato dall’Italia, e in particolare da Roma che lo aveva ribattezzato “Er cubano de Roma”, città nella quale voleva essere sepolto. Dopo la sua scomparsa, avvenuta il 22 marzo per un ictus che lo ha sorpreso, all’età di 84 anni, nella propria casa di Miami dove da tempo viveva, chissà se quest’ultimo desiderio sarà rispettato e se finalmente, dopo tanto tempo, potrà tornare nella Capitale che l’aveva accolto e trasformato in uno dei suoi simboli immortali.
Tomas Milian: muore a 84 anni il celeberrimo “Er Monnezza”
Il volto di Milian, per i romani e non, coincide soprattutto con il personaggio de er Monnezza, trucido ladruncolo protagonista di una “saga” che è poi venuto a coincidere con il personaggio dell’ispettore Nico Giraldi, per via dell’aspetto fisico, delle macro-similitudini più evidenti tra i due personaggi e infine grazie alla voce di Ferruccio Amendola, doppiatore ufficiale di entrambi i personaggi.
Ma è quella de Er Monnezza la maschera più iconica creata da Milian, il cantore decadente di una romanità, onesta e cialtrona, picaresca e buffa che ormai non c’è più: «Pe’ salva’ ‘na ragazzina, con un rene un po’ malato, er Monnezza se n’è annato! Cor Tufello e Primavalle, Tormarancia e Tiburtino, Garbatella e Trionfale, come so’ ridotto male… come so’ ridotto male!» (Er Monnezza in Il Trucido e lo Sbrirro, regia di Umberto Lenzi, 1976).
La carriera di Milian è stata multiforme e variegata e ha attraversato i generi, passando con disinvoltura dal cinema impegnato e d’autore dei primi anni ’60 (dove è stato l’attore prediletto di registi come Mauro Bolognini, Luchino Visconti, Alberto Lattuada e Michelangelo Antonioni escludendo tutti i grandi registi americani che lo coinvolsero nei loro progetti hollywoodiani a partire dalla fine degli anni ’80), passando poi per gli Spaghetti Western (diretto da Lucio Fulci, Sergio Sollima, Bruno e Sergio Corbucci) fino ad approdare all’universo del poliziottesco, nel quale è diventato l’attore feticcio del già citato Corbucci e di Umberto Lenzi, attraversando con disinvolta bravura i generi e le loro infinite contaminazioni con la commedia e il dramma dolente.
È possibile ripercorrere questo percorso di vita e cinema attraverso cinque ruoli chiave che ne hanno segnato la carriera:
5. Gli Indifferenti
Dramma borghese firmato da Francesco Maselli nel 1964, mescola abilmente il romanzo di partenza scritto da Alberto Moravia alle tematiche molto in voga nel cinema d’autore dei meravigliosi 60s, soprattutto quello di Michelangelo Antonioni che aveva trasformato i temi dell’incomunicabilità e della solitudine in due capisaldi del proprio immaginario cinematografico. Maselli prova ad aggiornare il contenuto del romanzo senza intaccarne il setting (la Roma degli anni ’20) e arricchendolo con la fotografia crepuscolare di Gianni di Venanzo e con un cast internazionale composto, tra gli altri, da Milian, Claudia Cardinale, Rod Steiger, Paulette Goddard e Shelley Winters.
Il cubano era reduce dalle esperienze di set con Bolognini, Pasolini, Visconti e Corbucci nei quali aveva quasi sempre interpretato… se stesso. Il se stesso ventenne di Cuba, quando – come si legge nelle interviste – passava il proprio tempo immerso nella Bella Vita, correndo dietro alle donne e alle distrazioni che Cuba offriva. Figlio della buona borghesia locale, Milian non vive però un’infanzia agiata: è lo spettro del padre violento – militare morto suicida davanti al figlio – a segnarne per sempre il percorso di crescita. A salvarlo dalla deriva tipica di un’esotica versione da “vitellone” è la zia, che asseconda la sua inclinazione verso la recitazione e gli finanzia i corsi di lingua inglese e di recitazione, dove Tomas Milian viene ammesso al famoso Actors Studio che aveva già formata quella generazione d’attori che costituivano i suoi modelli: James Dean e Marlon Brando.
4. La Banda del Gobbo
Forse non è il poliziottesco più iconografico o il più riuscito che ha interpretato Milian, ma sicuramente è il più iconografico: il film diretto da Umberto Lenzi nel 1977 affonda le sue radici nel cuore del sottobosco romano, tra le “leggende” metropolitane del Gobbo del Quarticciolo, la cronaca nera, gli anni di piombo e la malavita, mettendo al centro dell’azione le imprese (nefaste) dell’ennesimo anti-eroe incarnato dall’attore cubano. Questa volta, il suo nome è Vincezzo Marazzi detto “Il Gobbo” per via della sua vistosa deformità fisica; come un novello Riccardo III, questo astuto e crudele villain si muove, con disinvolta naturalezza, tra i luoghi simbolo della Roma diurna e notturna, seminando panico, scompiglio, illegalità e morte.
Anticipando molti gangster protagonisti del cinema di Brian De Palma, Lenzi e Milian riportano in vita il Gobbo già comparso in Roma a Mano Armata e facendolo incontrare con Sergio “Er Monnezza” Marazzi, che già era stato il protagonista dei precedenti film di Lenzi Il Trucido e Lo Sbirro, La Banda del Trucido, Il Lupo e l’Agnello. Due icone della Città Eterna sorrette dalle canzoni di Antonello Venditti (Sora Rosa e Roma Capoccia) che vedono la luce ma segnano il declino del rapporto umano tra Tomas Milian e Lenzi, in netto disaccordo su alcuni dei dialoghi scritti dall’attore cubano il quale, però, aveva facoltà di inserirli comunque nella sceneggiatura, come sanciva il contratto che aveva firmato ad inizio riprese.
3. Tepepa
È stato Milian stesso, nel documentario The Cuban Hamlet – Storia di Tomas Milian (per la regia di Giuseppe Sansonna, 2014), a dichiarare d’aver sempre sognato di diventare un rivoluzionario, proprio come Tepepa. Nel film del 1968 diretto da Giulio Petroni, l’attore non solo divide il set con un “mostro sacro” del Cinema come Orson Welles (qui nei panni del Colonnello Cascorro), ma incarna l’emblema e l’essenza stessa del Rivoluzionario in pieno spirito sessantottino, diventando un emblema della controcultura.
Un peone Tepepa, pronto a lottare per il proprio Messico contro ogni ingiustizia, ogni vecchio amico ormai “venduto” e passato dalla parte del nemico, e contro ogni forma di ingiustizia. Tomas Milian capì presto, da ragazzo, che per diventare un attore completo si sarebbe dovuto trasformare da ricco ragazzino annoiato in un uomo comune, “sporcandosi” e provando ogni tipo d’esperienza: così sono nati quei ritratti immortali di piccoli eroi quotidiani, rivoluzionari cialtroni della Domenica, piccoli banditi del sottobosco romano ed eroi qualunque come il famoso ispettore Nico Giraldi.
2. Non si Sevizia un Paperino
Milian e Lucio Fulci collaborarono insieme ben tre volte sul set, attraversando i generi più disparati (dal dramma storico Beatrice Cenci allo Spaghetti Western con I Quattro dell’Apocalisse), ma entrambi raggiungono l’acme nel 1972 con il giallo Non si Sevizia un Paperino, lontano dai generi più pop in voga all’epoca ma vicino, per sensibilità e tematiche, al cinema di suspense che in quegli anni sancì la fortuna di maestri come Dario Argento o il già citato Fulci. Il regista, chiusa la parentesi più commerciale a base di musicarelli e commedie, torna nei territori del noir che, in Italia, assume i contorni del giallo.
Protagonisti di questa torbida storia a base di sesso, morte, religione, paure ancestrali, magia nera, pedofilia e sadismo sono alcuni degli attori più famosi del cinema anni ’70, come Milian (appunto), Barbara Bouchet, Florinda Bolkan, Irene Papas, George Wilson e Marc Porel. Nonostante le critiche negative, le censure e le denunce, con gli anni il film ha seguito l’iter di un buon vino, invecchiando terribilmente bene. Famosa – soprattutto agli occhi della cronaca e della stampa scandalistica – è la famosa scena finale della scazzottata tra Milian e Porel: i due attori si picchiarono realmente sul set, per la gioia dei giornalisti.
1. Il Cinico, l’Infame, il Violento
Prima ancora del personaggio dello Zingaro, interpretato magistralmente da Luca Marinelli in Lo Chiamavano Jeeg Robot, Tomas Milian aveva già colonizzato l’immaginario romano creando non uno, ma innumerevoli villain, tra i quali svetta senza dubbio Luigi Maietto detto “er Cinese”.
Nel (non) eccezionale poliziottesco/gangster movie/heist movie diretto da Umberto Lenzi nel 1977 è Milian a regalare un’interpretazione intensa, gigiona e ghignante, descrivendo il ritratto di un malavitoso del sottobosco romano in contrasto con il commissionario campione di virtù interpretato dal (solito) Maurizio Merli, altra icona del cinema di quegli anni. Il titolo è un chiaro omaggio citazionista allo Spaghetti Western di Sergio Leone (Il Buono, Il Brutto, Il Cattivo) al quale “rubacchia” titolo, ispirazione, soggetto e soprattutto i titoli di testa altamente pop.