Alessandro Siani è pronto a tornare nei cinema italiani con la sua nuova commedia, Mister Felicità, che uscirà domani 1 gennaio 2017. Forte dei successi dei suoi ultimi lavori – Il Principe Abusivo e Si Accettano Miracoli – non teme la sfida con il botteghino reduce dal periodo delle feste, che ha visto il trionfo – almeno a livello di quantità – di commedie “made in Italy” pronte ad intrattenere il pubblico con un divertimento disimpegnato, tra un cenone, una tombolata e qualche regalo da scartare.
Purtroppo il discorso quantitativo non si può adattare in nessun modo sul piano qualitativo: le commedie italiane hanno subito una netta inflessione rispetto al panorama che si era delineato negli ultimi vent’anni (e più), non attirando più i propri fedeli fruitori come un tempo. Cos’è cambiato in questi ultimi anni? Cosa si è modificato nel corso di questo, cruciale, biennio 2015/2016 che lo rende tanto dissimile dal panorama della metà degli anni ’90, che può essere fatto risalire addirittura alla fine degli anni ’70?
Mister Felicità: la rinascita emotiva secondo Alessandro Siani
Sicuramente è cambiato il pubblico, ma soprattutto il gusto del pubblico. La comicità e la commedia (in quanto genere) è da sempre uno zoccolo duro dell’industria cinematografica italiana, fin dagli albori post–neorealisti che vedevano registi come Mario Monicelli, Dino Risi, Pietro Germi e Luciano Salce (solo per citarne alcuni) abbandonare quello stile così vicino e connaturato alla realtà fenomenica in favore di un nuovo ritmo nel raccontare delle vicende che, comunque, affondavano il loro senso nei tempi in rapido e costante mutamento. Gli anni ’60 segnarono non solo l’apoteosi del boom industriale (fino al 1964, anno in cui si invertì questa tendenza) ma, in particolare, la nascita e la diffusione capillare di un nuovo genere fortemente autoctono: la commedia definita – appunto – all’italiana, prendendo spunto dal film di Germi Divorzio all’Italiana (1961). Cosa avevano di diverso queste commedie, rispetto a quelle che le avevano precedute o che venivano realizzate, in contemporanea, da altre fiorenti industrie come quella hollywoodiana?
Prima di tutto, la caratteristica distintiva: il cinismo. Il cinismo era un “gusto” pressoché sconosciuto agli americani, impegnati invece a confezionare rassicuranti prodotti di celluloide in serie con i loro beniamini bankable; inoltre nelle commedie italiane la realtà continua ad affacciarsi con prepotenza come pure l’ombra nera della morte, un argomento tabù oltreoceano che invece da noi faceva lievitare gli incassi al botteghino (come non citare, a tal proposito, Il Vedovo firmato da Risi nel 1959?). Gli americani non riuscivano a capire come si potesse ridere della morte o della povertà, mentre noi italiani – con arguto cinismo, gusto per il grottesco e compiaciuta cattiveria – ne avevamo fatto un tratto distintivo; un’altra abilità era quella di adattare i generi, ma soprattutto i moduli di genere, alle nostre esigenze pratiche. Ne è un palese esempio l’esperienza di Mario Monicelli sul set della commedia I Soliti Ignoti: dopo il fallimento commerciale del precedente film prodotto dalla casa di produzione Vides Cinematografica (Le Notti Bianche, 1957, per la regia di Luchino Visconti) si ritrovarono un imponente set dal sapore noir da poter riutilizzare. Questa necessità fece scoccare a Monicelli e agli sceneggiatori Age&Scarpelli l’idea di giocare con i generi e di parodiare – almeno nello stile, ma non nei contenuti – il polar francese o il gangster movie americano, prendendo spunto dal successo internazionale ottenuto da Rififi (1955).
Mister Felicità: Alessandro Siani presenta il film alla stampa
Il resto, è storia nota. Come pure è ben nota la nostra attrazione fatale per i moduli di genere soprattutto americani: sono quelli che domineranno il panorama audiovisivo italiano per metà degli anni ’60 fino a sbocciare nella decade dei ’70, tra spaghetti western, poliziotteschi, horror dal gusto gore e gialli dal sapore animalier; la commedia all’italiana inizia la propria triste parabola discendente a partire dagli anni 1976 – 1978, che coincidono con la nascita delle prime tv private. È questo episodio storico a ridefinire i contorni della comicità dei successivi anni ’80: cambiano i modelli, si evolvono i gusti del pubblico, e la scoperta del sesso da parte degli italiani (dopo la rivoluzione dei costumi del ’68) li spinge ad avere un rapporto sempre più pruriginoso e malizioso con l’argomento. Nasce la commedia sexy, quella con un immaginario popolato da poliziotte, infermiere, studentesse e professoresse che passano – o meno – la leva militare, ma almeno vengono ammirate dagli occhi indiscreti dei commilitoni. Sono Giovannona Coscialunga Disonorata con Onore e Quel Gran Pezzo dell’Ubalda, Tutta Nuda e Tutta Calda a riscrivere i sogni erotici dell’italiano medio, incarnato dai loro alias (sul grande schermo) Pippo Franco, Alvaro Vitali e molti altri, prima che le reti Fininvest sdoganassero una nuova generazione di comici televisivi attraverso programmi come Drive In; è la comicità da fast – food, quella veloce che rispetta i tempi da format, quella dei tormentoni e dei personaggi che colpiscono l’immaginario insediandolo, senza più abbandonarlo. Per molti di loro il passaggio dalla tv al grande schermo costituirà il completamento di un processo necessario ed inevitabile.
La discesa nell’arena politica di Silvio Berlusconi e la sua vittoria alle elezioni del 1994 sembrano marcare, in modo indelebile, quella che era stata una tendenza apparentemente irreversibile già avviata nei primi anni ’80. Si afferma un nuovo tipo di commedia, dal gusto più “godereccio” e spensierato, incentrata sui desideri reconditi e sulle aspirazioni segrete dell’italiano medio traffichino, arrampicatore pronto a godersi le gioie della vita, ovunque e ad ogni costo. Basta un unico titolo per segnare questa tendenza, il primo Vacanze di Natale scritto e diretto dai fratelli Carlo ed Enrico Vanzina (figli di Steno) che rappresenta un’istantanea cinica e sfrontata dell’italietta godereccia (in questo caso, degli anni ’80) in trasferta. Il modulo adottato dai Vanzina si trasformerà, nel decennio a seguire – gli anni ’90 – in un vero e proprio brand imitato da altri colleghi (come Neri Parenti) che segnerà la produzione comica/la commedia italiana fino agli ultimi anni appena trascorsi; un cinema auto – riflessivo, che riproponeva all’infinito la propria struttura – come dei frattali – che ha preso il nome di cinepanettone per via della sua uscita tipicamente natalizia, e non senza una vena polemica.
La commedia di oggi, quella della prima metà degli anni 2000 e della seconda (fino al 2016) ha vissuto quell’altalena “schizoide” tra cinepanettoni sterili e comedy dalle regie sciatte e dalle scritture dimenticabili, timidi tentativi di un ritorno a dei modelli di un genere – quello della commedia all’italiana, appunto – al quale è ormai impossibile tornare: ci si può limitare ad ispirarsi, per carpirne i segreti e realizzare dei prodotti finali in grado di essere autonomi, ma soprattutto tanto lontani da essere così vicini ai moduli originali di genere. Checco Zalone come Alessandro Siani stanno cercando di creare la loro “nicchia”, di costruirsi un prototipo da riutilizzare – declinandolo in ogni ipotetica sfumatura – prendendo spunto dal passato ma cercando di plasmare la propria, caratteristica, cifra stilistica come comici, come autori e (in alcuni casi, come con Siani) anche come registi. I temi trattati nei loro film sono legati alla natura dell’Italia di oggi (la ricerca del lavoro fisso, la differenza tra Nord e Sud, l’accoglienza dello straniero, i poveri e i ricchi) ma cercano anche di aprirsi a gusti e ad influenze più “internazionali”. In Mister Felicità, ad esempio, Martino (il personaggio interpretato da Siani) è un giovane “inattivo” che scopre il favoloso mondo del mental coach presso il quale sua sorella lavora; una figura così distante dalla nostra cultura italica, così sconosciuta, sarà capace di incrementare l’interesse e le aspettative nei confronti della nuova commedia di Siani, fornendogli magari anche l’occasione di stratificare la complessità del prodotto finale? Al pubblico italiano, l’ardua sentenza!