giovedì, Ottobre 10, 2024
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George A. Romero: la carriera del “papà degli zombie” in cinque film

Sembra incredibile, eppure alla fine George A. Romero se n’è andato silenziosamente, lasciando in tal modo orfani quei macabri figli – gli zombie – la cui fama aveva contribuito a lanciare nell’immaginario pop ed horror, conferendo loro l’immortalità.

Nonostante la sua repentina dipartita a soli settantasette anni, anche la memoria di Romero è adesso consegnata all’immortalità della Storia del Cinema grazie ad una serie di titoli imprescindibili che, muovendosi agilmente nei territori limacciosi del B-Movie d’autore e del cinema – sempre autoriale – ma di genere, sono riusciti ad imporsi nel nostro immaginario popolare contaminando sogni, incubi, lunghe notti d’Agosto insonni e feste di Halloween nel corso degli anni.

Ripercorriamo, attraverso cinque film, la cavalcata selvaggia di George A. Romero alla conquista di un genere che, in un primo momento, non aveva nemmeno contemplato: l’horror.

la metà oscura

5) La Metà Oscura (1993)

Quando un Re incontra un “Padre Spirituale”: così dev’essere sembrato l’incontro – platonico, e non troppo – tra il regista George A. Romero e lo scrittore-rockstar dell’horror Stephen King. Due pesi massimi dell’Orrore finalmente insieme per realizzare un’attesa trasposizione cinematografica, quella del romanzo La Metà Oscura già pubblicato da King nel 1989.

La travagliata vicenda umana dello scrittore Thad Beaumont (Timothy Hutton) coinvolto nell’eliminazione “fisica” del suo pseudonimo George Stark, diventato un’entità a tutti gli effetti che non esita a perseguitare la sua famiglia, potenzialmente poteva trasformarsi in un “incontro” tra titani del genere: il risultato, però, non fu un successo di critica (e a malapena di pubblico), scivolando lentamente nell’oblio del cinema cult underground.

In realtà, i due si erano già incontrati quasi dieci anni prima, durante la lavorazione di Creepshow (1982): film a episodi diretto da Romero e scritto da King, nasce come un sentito omaggio da parte dei due maestri ai fumetti horror della EC Comics, pubblicati negli USA dal secondo dopoguerra fino agli anni cinquanta quando, per colpa della censura imperante, fu cessata la loro pubblicazione. Creepshow è, a tutti gli effetti, un albo a fumetti che prende vita, con tanto di prologo ed epilogo a fare da cornice alle cinque storie narrate.

 la stagione della strega

4) La Stagione della Strega (1972)

Erano i primissimi anni ’70 e la canzone del cantautore scozzese Donovan “Season of the Witch” aveva già contrassegnato la stagione del 1967 quando George A. Romero si cala di nuovo nei molteplici panni di regista, soggettista, sceneggiatore, direttore della fotografia e montatore per raccontare questa – apparentemente – tranquilla storia della piccola borghesia statunitense che vive nelle periferie popolate da casette a schiera e regole del buon vicinato.

La frustrata casalinga Joan Mitchell vive in modo conflittuale le continue trasferte del marito Jack per lavoro e il rapporto conflittuale con la figlia diciannovenne Nikki, soprattutto adesso che si sono trasferiti in un sobborgo residenziale di Pittsburgh. Così la donna, timida e alla ricerca di nuove emozioni, si avvicina al gruppo di amiche che circola intorno a Marion, riconosciuta come una strega a tutti gli effetti dalla comunità. L’amicizia con la donna la trascinerà in un torbido maesltrom a base di incantesimi, strani ed efferati omicidi conditi da un abissale senso di solitudine.

Girato da Romero nel 1971 il film è, a tutti gli effetti, il terzo lungometraggio del regista, che si muove ancora nel territorio della critica sociale camuffata sotto le spoglie del genere horror. In Italia La Stagione della Strega rimase inedito fino agli anni ’90, quando fu distribuito in Home Video.

due occhi diabolici

3) Due Occhi Diabolici (1990)

Due maestri indiscussi del genere horror tornano a collaborare insieme: George A. Romero e Dario Argento, dopo il supporto produttivo fornito da quest’ultimo durante le riprese di Zombi, firmano un’opera d’arte audiovisiva a quattro mani, celebrando – ed aggiornando – il genio gotico dell’americano Edgar Allan Poe.

Il risultato è l’atipico Due Occhi Diabolici, che esce nei cinema italiani il 25 gennaio del 1990 e che originariamente prevedeva la realizzazione di ben quattro episodi, di cui due firmati da Stephen King e John Carpenter. Romero rielaborò un racconto di Poe dirigendo Fatti nella Vita del Signor Valdemar, contaminandolo con i “suoi” amati zombie, morti pronti a tornare dal regno delle tenebre perché evocati da un oscuro rituale d’ipnotismo mesmerico, mentre Argento si orientò su un adattamento moderno – e contaminato da altre suggestioni – del celebre Gatto Nero.

I litigi continui tra i due registi sul set si riflettono forse sulla resa finale del prodotto, discontinuo e televisivo, difficile da inquadrare perfino agli attenti occhi della critica cinematografica d’essai; tanto appare svogliato e televisivo l’episodio di Romero per alcuni – ma fortemente ancorato ad un vitale elemento di critica sociale –, tanto l’altro è considerato l’ultimo capolavoro di Argento prima dell’inizio della fase discendente della propria carriera. Da segnalare la presenza, nei panni del sadico fotografo di cronaca nera protagonista de Il Gatto Nero, dell’attore Harvey Keitel.

 vampyr

2) Wampyr (1977)

Il titolo diffuso sul mercato europeo tradisce già le aspettative nei riguardi di questo cult, suggerendo anche l’ambito horror specifico nel quale lo spettatore è incappato: siamo nel mondo del vampirismo, lontano dalla celebrazione critica romeriana degli zombie in tutte le loro molteplici sfaccettature.

Questa volta il protagonista è Martin, un giovane abitante della desolata cittadina di Braddock, in Pennsylvania, affetto da un non trascurabile vizietto: quello di narcotizzare delle donne per poi berne il sangue dopo aver tagliato i loro polsi. Lo zio si convince, a questo punto, che il nipote sia in realtà un vampiro.

Il film fu presentato per la prima volta durante il Festival di Cannes del 1977 prima di essere distribuito nelle sale statunitensi con il suo vero titolo, Martin; per il mercato europeo, invece, lo attendeva un esito diverso, con il montaggio rielaborato e le musiche sostituite da alcuni brani dei Goblin, approdando infine in sala solo l’anno successivo.

Da molti fan, affezionati e da accorti critici Wampyr di George A. Romero è considerato uno dei migliori prodotti di genere degli anni settanta, una pietra miliare che he ha definito l’estetica e che ha lasciato un solco indelebile perfino nella cinematografia del regista, che lo ha sempre considerato come uno dei suoi preferiti.

la notte dei morti viventi

1) La Notte dei Morti Viventi (1968), la tetralogia degli zombie, epigoni vari ed eventuali

Era il lontano 1968 quando George A. Romero, giovane cineasta con alle spalle qualche cortometraggio e pochi lungometraggi firmati per la tv, scrive (soggetto e sceneggiatura insieme a John A. Russo), dirige e si occupa di montaggio, fotografia e musiche di quello che sarà a tutti gli effetti il suo capolavoro, capace di imprimersi nell’immaginario pop di un’intera epoca plasmandone sogni, incubi e gusti.

La Notte dei Morti Viventi segna il debutto, sul grande schermo, degli zombie, creature lente e cannibali tornate dal mondo dei morti in tutto il loro – putrido – splendore, che da sempre popolano l’immaginario caraibico legato ai riti voodoo di isole come Haiti; legate a divinità ultramondane e potenti Loa come Il Baron Samedì o Maman Brigitte, possono essere evocati dagli stregoni tramite antichi rituali, volti a catturare l’anima delle persone riesumandone i corpi – che si trasformano in involucri di carne camminanti – e trasformandolo in loro schiavi.

Gli zombie in realtà erano già comparsi nel corso degli anni ’30, ’40 e ’50 in produzioni horror – popolate, ad esempio, da Bela Lugosi – o in episodi televisivi; ma l’ingresso in società per come siamo abituati a percepirli oggi, nonostante le variazioni subite dalla nostra ricezione e fruizione del macabro mito di queste creature, è riconducibile a quel 1968 portatore di sferzanti e rivoluzionarie novità.

George A. Romero, nel raccontare la storia di Ben e Barbra Huss, una coppia che insieme ad altre cinque persone rimangono intrappolate in una casa coloniale della Pennsylvania che sorge accanto ad un cimitero infestato di zombie “revenant” pronti a divorarli, forse voleva – consapevolmente o meno – fornire una metafora alternativa alla semplice chiave di lettura e decifrazione della realtà che stavano vivendo: per alcuni gli zombie sarebbero una metafora dei sovietici e quindi della Guerra Fredda imperante; per altri, si tratterebbe di una complessa metafora della Guerra in Vietnam oppure una critica sfrenata al consumismo dilagante negli States, alla diffusione delle armi da fuoco e al razzismo, incarnato dall’iconografica scena finale dell’omicidio a sangue freddo, da parte dei militari, del sanissimo sopravvissuto Ben, interpretato dall’attore afroamericano Duane Jones.

Per scrivere la sceneggiatura, Romero si ispirò al romanzo di Richard Matheson Io Sono Leggenda“, che verrà adattato per il grande schermo ben tre volte nel corso del tempo e che indirizzerà l’immaginario del regista dai vampiri agli zombie, segnando in tal modo definitivamente la sua carriera e proiettandolo di diritto nell’empireo del cinema di genere horror. A La Notte dei Morti Viventi seguiranno altri ben sei film sull’argomento: Zombi (1978), Il Giorno degli Zombie (1985), La Terra dei Morti Viventi (2005), Diary of the Dead – Le Cronache dei Morti Viventi (2007) e Survival of the Dead – L’Isola dei Sopravvissuti (2009).

Gli ultimi due capitoli costituiscono quasi una sorta di nuovo filone narrativo per tematiche e protagonisti, mentre i precedenti titoli – ad eccetto dei remake e dei titoli “spuri” realizzati a partire dagli anni ’70 – sono collegati dallo stesso fil rouge di base: i quattro titoli segnano una sorta di escalation degli zombie e del loro potere sulla terra, partendo dalla notte, passando all’alba (contenuta del titolo originale di Zombi), il giorno e infine la terra, sancendo in tal modo definitivamente il potere inequivocabile dei morti sui vivi, che impotentemente non possono far altro che assistere al tracollo del loro Impero Occidentale.

Ludovica Ottaviani
Ludovica Ottaviani
Imbrattatrice di sudate carte a tempo perso, irrimediabilmente innamorata della settima arte da sempre | Film del cuore: Lo Chiamavano Jeeg Robot | Il più grande regista: Quentin Tarantino | Attore preferito: Gary Oldman | La citazione più bella: "Le parole più belle al mondo non sono Ti Amo, ma È Benigno." (Il Dormiglione)

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