martedì, Gennaio 21, 2025
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Avatar torna al cinema. Di cosa parliamo quando parliamo di “rivoluzione 3D”

Avatar torna al cinema dal 22 settembre, in attesa di Avatar: La Via dell'Acqua Si torna, quindi, a parlare del 3D e del suo potenziale mainstream.

Tornare su Pandora, tra i Na’vi, è un’occasione speciale che va celebrata. Per questo, prima dell’arrivo nelle sale di Avatar: La Via dell’Acqua, atteso sequel, il regista James Cameron fa un regalo a tutti coloro che hanno amato già la prima volta questo universo immersivo popolato da una popolazione tribale blu alta due metri e minacciata dall’avidità umana.

Dal 22 settembre è infatti possibile rivedere al cinema Avatar, il primo e indiscusso capitolo di quello che si sta trasformando in un franchise da quattro film, come ha confermato recentemente il produttore Jon Landau; un’opera cult che ha rivoluzionato la percezione degli spettatori nei confronti della macchina-cinema, che ha finalmente espresso – alle soglie del nuovo millennio, vista la release datata 2009 – tutto il proprio potenziale tecnico e artistico, segnando un profondo spartiacque tra un prima e un dopo, soprattutto per quanto riguarda l’impiego del 3D nell’industria cinematografica.

Il 3D e l’arte della visione “immersiva”, capace di coinvolgere lo spettatore e molti dei suoi sensi ben oltre il semplice piacere retinico, affonda le proprie radici nei primi esperimenti del 1915, quando ancora si chiamava semplicemente cinema stereoscopico e non era riuscito a conquistare la fiducia del pubblico, complice una naturale diffidenza nei confronti degli strani occhialini impiegati in sala e di tecnologie che ancora non permettevano di assistere, con stupefacente meraviglia, alle sconvolgenti ricostruzioni immaginarie di Avatar.

Dopo un curioso debutto e alcune storiche pietre miliari rilasciate nel ’22, il 3D subisce un lungo oblio dal quale riemerge solo negli anni ’50, quando le major si vedono costrette a fronteggiare lo strapotere della televisione, promuovendo il ritorno in sala coatto da parte della gente. Stranamente, questa situazione trova della naturali assonanze con quella attuale, determinata ormai dall’avvento delle piattaforme streaming e dal progressivo abbandono delle sale: nelle difficoltà, il cinema chiama e il 3D risponde.

La creatività visionaria di James Cameron 

Uno degli esperimenti storici più curiosi è sicuramente la release, nel 1953, del cult di Alfred Hitchcock Delitto perfetto, girato dal regista sfruttando le potenzialità del cinema tridimensionale basato sulla tecnica della luce polarizzata e denominato Natural Vision. Macchina da presa sistemata in una buca per riportarla al livello del pavimento, connotazione fortemente teatrale e claustrofobica dello spazio (come accadeva in Nodo alla gola, sempre di Hitchcock e anch’esso tratto da una pièce), il 3D del maestro del brivido mette in risalto soprattutto dettagli e particolari, sancendo però il definitivo declino di una tecnologia che non riuscirà a ritagliarsi il giusto spazio soprattutto tra gli esercenti, lanciando il proprio “canto del cigno” l’anno successivo con il film Cacciatori di frontiera di André De Toth. Era il 1954 e tutti, appassionati e non, spettatori comuni e addetti ai lavori, poterono assistere al tramonto di un’epoca brevissima.

Ci sono voluti esattamente cinquantacinque anni per riaccendere i riflettori sul cinema tridimensionale: cinquantacinque anni di progressi tecnologici clamorosi e forse inimmaginabili, coadiuvati dalla creatività visionaria di un regista come James Cameron. Un uomo che, prendendosi il proprio tempo, è riuscito a sfruttare nel migliore dei modi gli ultimi ritrovati della tecnica nelle proprie produzioni, per dare corpo all’immaginazione e alle fantasie che popolano la sua mente da cineasta: lo ha dimostrato fin dal sul debutto hollywoodiano con Terminator (1984), puntando sul connubio tra modernità e tradizione.

Le sceneggiature dei film di Cameron incarnano la classicità, il retaggio di un’industria del cinema che affonda le proprie radici negli schemi della fiaba tradizionale – teorizzati da Vladimir Propp – e nel tradizionale viaggio dell’eroe di vogleriana memoria: azioni reiterate e personaggi standard che incarnano, da sempre, sentimenti universali mentre sono alle prese con situazioni dal forte impatto spettacolare, determinate dal piacere dell’entertainment. La cinematografia di Cameron riprende le basi ma le traghetta nel futuro, sposando il genere – la fantascienza – e sfruttandone al massimo il potenziale: quest’ultima diventa così una chiave di lettura del nostro presente, una lente deformante capace di presagire l’impatto delle conseguenze delle nostre azioni.

Animare l’impossibile

Avatar è un film dall’impianto classico, scritto e pensato proprio a misura di pubblico. La storia del marine Jake Sully che scopre un nuovo mondo – e una nuova opportunità di vita – condividendo la quotidianità con la popolazione di un pianeta misconosciuto, ricorda da vicino il mito della frontiera, i canoni tradizionali del genere più americano di sempre, ovvero il western: un po’ Balla coi lupi, un po’ il tradizionale mito di Pocahontas (e, di conseguenza, del “buon selvaggio” di Rousseau), Sully trova se stesso nel posto più improbabile di sempre. E apre, finalmente, gli occhi sulla brutalità dei comportamenti di coloro che lo circondano e che vogliono distruggere quella frontiera, in un mito fondativo rovesciato che occhieggia all’immaginario – tutto a stelle e strisce – della catastrofe, nel quale la distruzione è affine alla ricostruzione, all’ampliamento e alla conquista di nuovi spazi inesplorati… di frontiera, appunto.

Il pattern alla base di Avatar è semplice e diretto, capace di coinvolgere in massa il pubblico: ma è sul versante tecnico-registico che James Cameron ha deciso di investire e rischiare, puntando tutto su un colore – per assonanza, il blu dei Na’vi – regalando alle sale un’anacronistica esperienza tanto innovativa quanto antica e ormai considerata obsoleta, quel 3D nel quale le major avevano investito tutte le loro speranze nei primi anni ’50. Nel 2009 Avatar segnò uno spartiacque profondo tra un prima e un dopo, trasformandosi nel portabandiera delle potenzialità della macchina da presa moderna, coadiuvata dai giganteschi passi in avanti compiuti dalla tecnologia. La CGI sempre più strabiliante e realistica ha permesso di affiancare attori in carne ed ossa a personaggi immaginari animati in motion capture, sancendo definitivamente l’entrata della Settima Arte nell’era post-moderna del potenziale infinito: grazie alla tecnologia tutto è possibile, perfino animare l’impossibile.

Avatar, un film “che visse due volte”

E in occasione dell’atteso ritorno nelle sale della versione rimasterizzata in 4K HDR, con alcune scene in 48fps, il pubblico potrà godere di uno spettacolo completamente rinnovato, una sorta di ulteriore “rinascita” per un film che visse due volte (parafrasando, liberamente, il titolo di un film di Hitchcock), sfidando le leggi del tempo che spesso sono crudeli e determinano un invecchiamento quanto mai precoce, soprattutto in una contemporaneità – come la nostra – dove oggi è già ieri, e le nuove tecnologie invecchiano più rapidamente del previsto, sorpassate dagli ultimi ritrovati. Per Cameron questa nuova release rappresenta la possibilità di riportare il pubblico in sala soprattutto dopo la pandemia, coinvolgendo in particolar modo quelle fasce più giovani che non hanno potuto apprezzare il film sul grande schermo in occasione della sua uscita, nel 2009.

I più giovani, i nostalgici, gli appassionati e i cinefili: Cameron chiama a raccolta tutti per il grande evento, e lo fa ricordando il ruolo che la tecnologia tridimensionale ha giocato e giocherà nel futuro prossimo della Settima Arte, considerando appunto il 3D come un’opzione, ormai inclusa nell’immaginario collettivo degli spettatori che si approcciano allo schermo d’argento. Dopo l’avvento del sonoro e del colore, anch’esso ha rivoluzionato la fruizione delle immagini proiettate, ritagliandosi in modo silenzioso un proprio spazio tra le grandi rivoluzioni che hanno cambiato la forma stessa del cinema; e possiamo scommettere che Avatar: La Via dell’Acqua, sequel apri-pista – ne seguiranno altri quattro – potrebbe diventare un’ulteriore pietra miliare nella storia personale di Cameron, ma soprattutto in quella di ognuno di noi prima ancora di confluire in quella, macroscopica e universale, della Settima Arte.

Guarda il trailer ufficiale di Avatar

Ludovica Ottaviani
Ludovica Ottaviani
Imbrattatrice di sudate carte a tempo perso, irrimediabilmente innamorata della settima arte da sempre | Film del cuore: Lo Chiamavano Jeeg Robot | Il più grande regista: Quentin Tarantino | Attore preferito: Gary Oldman | La citazione più bella: "Le parole più belle al mondo non sono Ti Amo, ma È Benigno." (Il Dormiglione)

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